22 NOVEMBRE 1963 ASSASSINIO JFK
Il 22 novembre 1963 era un venerdì, a Dallas in Texas, alle 12.30 il trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America veniva assassinato mentre era comodamente seduto nella sua auto, ed il corte presidenziale passava tra due ali di folla.
L’america si scopre vulnerabile, già messa a dura prova dall’inasprirsi della Guerra Fredda e dalla crisi dei missili di Cuba che aveva messo davanti agli occhi di tutti la fragilità degli equilibri sui quali il mondo si reggeva.
John Fitzgerald Kennedy era stato un presidente particolare, la sua azione alla casa bianca era stata brevissima, solo due anni prima di essere ammazzato, eppure è il presidente che ha goduto di maggior fama, forse anche per il fatto di essere stato ucciso in un modo così strano che negli anni ha fatto proliferare quella cultura del complotto.
<<Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese>>
Furono queste le parole con le quali John Fitzgerald Kennedy aprì la sua presidenza, le pronunciò il 20 gennaio del 1961 il giorno del suo giuramento. Già dall’inizio si poteva quindi immaginare una vera e propria rivoluzione nella comunicazione, una presidenza che volve tornare ad essere popolare e che voleva, almeno nelle intenzioni, riportare al centro la partecipazione attiva dei cittadini.
La presidenza Kennedy è durata poco meno di tre anni, un tempo brevissimo per valutare lo spessore politico di un presidente eppure nell’immaginario collettivo globale JFK è il PRESIDENTE.
Il suo impegno in politica estera parte massimo, è lui infatti il 17 aprile del 1961 a dare il via all’invasione della Baia dei porci, modificando un piano pensato strutturato dal suo predecessore Eisenhower che lo aveva sempre rimandato.
1.500 cubani anticastristi sbarcano sulla Baia dei Porci a Cuba, appoggiati dagli americani, vengono respinti dalle forze cubane e per il presidente Kennedy è una sconfitta cocente. Il 19 aprile, dopo solo due giorni, gli anticastristi sono costretti a battere in ritirata. Il blocco comunista poteva segnare un altro successo in quel tabellone immaginario sul quale si contavano i punti di uno scontro globale che sembrava infinito.
Su Cuba Kennedy continuò ad intensificare l’impegno USA anche con operazioni coperte, come quella del Piano Mangusta, che serviva a compiere atti terroristici sul suolo cubano. Invoco più di un anno furono compiute 5.780 azioni e 761 sabotaggi alle infrastrutture cubane.
L’occasione che permetterà a Kennedy di non essere ricordato come il presidente incapace è sicuramente quello della crisi dei missili di Cuba, il 14 ottobre del 1962. Gli americani hanno le foto di navi sovietiche che stanno trasportando missili capaci di montare testate nucleari, nell’isola che è vicinissima al loro territorio nazionale. Se Crhuscev riuscisse ad installare i missili sull’isola l’America sarebbe sotto tiro dell”URSS che potrebbe colpire senza che gli USA avessero il tempo congruo per una reazione.
La crisi arriva davvero ad un passo dal tradursi in scontro nucleare. Kennedy è vicinissimo alla distruzione dell’intero mondo, ogni sua scelta ha un peso enorme, dal 14 ottobre, giorno in cui l’aereo spia americano fotografa i missili, al 28 ottobre, giorno in cui i sovietici decidono il ritiro dei missili, il destino del mondo, mai come in quel momento, dipende dalle azioni e dalle capacità di un uomo.
La risoluzione pacifica della crisi, il successo di aver evitato il peggio e di aver avuto la meglio anche sulle concessioni fatte ai sovietici consacrano Kennedy come il risolutore della peggior crisi della Guerra Fredda.
La cris di Cuba apre però gli occhi ad entrambi i leader delle due super-potenze, entrambi hanno toccato con mano la semplicità con la quale si può giungere ad un conflitto che essendo nucleare potrebbe avere conseguenze enormi per l’intero pianeta. Sarà proprio questa consapevolezza che porterà ad intensificare i rapporti tra Kennedy e Chruchev, che si concretizzeranno conta firma del Partial Test Ban Treaty, siglati a Mosca il 5 agosto del 1963, un trattato per la messa al bando parziale dei test nucleari che sarà firmato da Regno Unito, USA ed URSS, i grandi assenti al tavolo saranno la Francia e la Cina.
Sul Vietnam molte sono le opinioni, alcuni storici sono convinti che Kennedy non avesse alcuna intenzione di impegnarsi in un conflitto che vedeva difficile e lontano, altri concordano che il suo vice che poi gli successe Johnson e che fu colui che andò al congresso per iniziare una guerra che sarà la più traumatica per l’America, abbia ereditato la situazione, ma secondo alcuni memorandum JFK stava organizzando il ritiro delle truppe.
La politia interna di Kennedy è legata a doppio filo con le lotte contro la discriminazione razziale. Martin Luther King, il reverendo a capo del movimento non violento per i diritti dei neri, trovò una sponda forte, pronta ad ascoltare e a spendersi in prima persone nelle battaglie del movimento, soprattuto nella fase della campagna elettorale, diverso fu l’atteggiamento, secondo alcuni leader dei movimenti, del Kennedy presidente che, preoccupato di non scontentare i bianchi del sud, si ammorbidì proprio sulle questioni dell’integrazione.
Kennedy però non è rimasto nella memoria collettiva globale non perché ha risolto la crisi di Cuba, non perché fu l’incapace presidente che cercò di sfidare Fidel nella Baia dei Porci e perse, non per il suo sostegno alle lotte per l’integrazione. Kennedy fu un’icona POP, un uomo giovane che viveva il suo tempo, un uomo che seppe svecchiare la Casa Bianca e la fece tornare al centro delle cronache anche mondane, grazie anche a sua moglie Jacqueline Kennedy.
Erano molto più giovani dei loro predecessori, erano molto più da copertina, Jacqueline riuscì a svolgere il suo ruolo da first lady come nessuno aveva fatto prima, trasformando la Casa Bianca in un luogo di incontri, dove artisti, personalità e grandi personaggi venivano ospitati e davano lustro all’America. Kennedy rappresentò quell’America da sogno che tutti volevano essere, nonostante dietro quella patinata esistenza ci fosse un inferno familiare fatto di sospetti, bugie, tradimenti e tristezza. L’America aveva la sua famiglia felice, la sua realtà artificiale in cui credere e ci ha creduto così tanto da renderla più reale e più grande di quanto sia stata nella realtà.
Kennedy, la sua famiglia, il suo personaggio erano ciò che l’America e non solo sognavano e la sua azione politica è stata fagocitata da quell’immagine, da quella rappresentazione, l’icona Pop ha superato la persona stessa e le sue azioni. Anche la sua morte, quell’assassinio che ancora oggi non è risolto, quell’America che si riscopre viscida e bugiarda, quell’America che come farà anche con il fratello Robert, non vuole davvero cambiare, alla quale basta solo l’icona del cambiamento e della libertà, dimostrano che Kennedy è stato fagocitato anche lui da quel mondo che stava diventando di sola immagine.
Ancora oggi a 52 anni da quel 22 novembre 1963, una vera idea di cosa Kennedy sia davvero stato non c’è, abbiamo però un’idea ben chiara di cosa abbia rappresentato.
Ancora oggi a 52 anni dal suo assassinio la nebbia attorno a ciò che successe, a quali dinamiche ci fossero sotto e a quali equilibri furono sacrificati i due fratelli Kennedy, non ci è dato di saperlo.
Kennedy muore in diretta televisiva, la notizia sconvolge l’intero mondo, anche nel suo ultimo momento quell’uomo di 46 anni sembra essere qualcosa di molto più grande di un semplice presidente ed è questa la potenza che lo ha fatto entrare nel mito del racconto americano, quell’essere più grande della sua stessa persona.