I DISCORSI DELLA DOMENICA: DI VITTORIO “LA NOSTRA CAUSA È LA CAUSA DEL PROGRESSO GENERALE, DELLA CIVILTÀ E DELLA GIUSTIZIA TRA GLI UOMINI”

Ci sono nella cultura italiana, quella collettiva, quella di massa, personaggi per i quali basta anche solo il nome per evocar la forza politica, la potenza morale che hanno espresso nei loro gesti e nelle loro azioni.

Giusepe Di Vittorio, per tutti ha rappresentato un uomo che per natura, per azioni, per le parole e per il coraggio che ha sempre dimostrato, ha superato la sua figura umana ed è entrato nella storia e nell’immaginario collettivo. Il suo nome si ricollega in maniera automatica alla CGIL, al sindacato, quello che però nulla ha a che vedere con le scartoffie e le clientele, che nulla ha a che fare con le ambizioni personali e le reti di amicizie, il suo sindacato, quello che lui ha costruito e per il quale ha sempre lottato, era un’organizzazione votata anima e corpo alla battaglia per i lavoratori, per la giustizia sociale e per il progresso generale della società.

La sua visione dei sindacalisti era quella di uomini e donne votate al sacrificio, pronti a reagire alle delusioni e soprattutto disposti a dare il loro contributo ad un progetto molto più grande.

Giuseppe Di Vittorio iniziò giovanissimo a seguire il suo impegno politico, costretto a fare il bracciante sin da piccolissimo, a 12 anni iniziò le sue battaglie contro i proprietari terrieri di Capitanata. Da sempre ha vissuto al centro della lotta, da sempre ha dimostrato la capacità di coinvolgere e di guidare le masse, da sempre è stato lontano dai giochi politici e dalle ottusità strategiche della politica di palazzo.

Entrò in parlamento come socialista, mentre era detenuto nelle carceri di Lucera, attraversò la storia del novecento segnandola, e stando sempre dalla parte dei più deboli. Si occupò della resistenza della camera del lavoro di Bari che sconfisse le squadre fasciste di Caradonna, fu in Spagna durante la guerra civile spagnola, fu uno dei primi comunisti italiani a scontrarsi con Stalin, i suoi rapporti con Togliatti si ruppero quasi definitivamente quando nel 1956 l’Armata Rossa represse nel sangue le proteste in Ungheria, in quel caso il PCI appoggiò a capo chino l’intervento sovietico, ma Di Vittorio il quale non avrebbe potuto mai sopportare che un esercito sparasse sui lavoratori, si indignò e con un comunicato del sindacato unitario si scagliò duramente contro i comunisti <<L’intervento sovietico contraddice i principi che costantemente rivendichiamo nei rapporti internazionali e viola il principio dell’autonomia degli Stati socialisti>>.

Questo era Peppino Di Vittorio, un uomo del popolo, un uomo vero che portava nel suo accento marcato di uomo di Cerignola, il suo forte legame con la sua terra e con la sua apparenza sociale a quella massa contadina che per secoli aveva subito senza alzare mai la testa.

Il discorso riportato oggi in questa rassegna domenicale, è stato pronunciato da Di Vittorio agli attivisti sindacali di Lecco, poche ore dopo Di Vittorio fu colpito da un infarto e morì.

In queste sue ultime parole ci sono tutti i suoi più importanti insegnamenti, per un sindacato che forse non esiste più, un sindacato fatto di sacrificio e di sogni per il progresso dell’intera società.

“Lo so, cari compagni, che la vita del militante sindacale di base è una vita di sacrifici. Conosco le amarezze, le delusioni, il tempo talvolta che richiede l’attività sindacale, con risultati non del tutto soddisfacenti. Conosco bene tutto questo, perché anch’io sono stato attivista sindacale: voi sapete bene che io non provengo dall’alto, provengo dal basso, ho cominciato a fare il socio del mio sindacato di categoria, poi il membro del Consiglio del sindacato, poi il Segretario del sindacato, e così via: quindi, tutto quello che voi fate, che voi soffrite, di cui qualche volta anche avete soddisfazione, io l’ho fatto. Gli attivisti del nostro sindacato, però, possono avere la profonda soddisfazione di servire una causa veramente alta.

Invito a discutere su questo: è giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? E’ giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? E’ giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato.

Avete visto che cosa è avvenuto: mano a mano che il capitalismo riusciva ad infliggere dei colpi al sindacato di classe e alla CGIL, e quindi a indebolire la classe operaia, non solo si è verificata una differenza di trattamento dei lavoratori, ma come conseguenza di questa differenza di trattamento, si è aperto un processo in Italia che tuttora continua. Si sono aperte le forbici, si è prodotto uno squilibrio sociale profondo nella società italiana. Supponete, per esempio, che il rapporto fra salari e profitti fosse 100 per i salari e 100 per i profitti nel 1948. Come è andato sviluppandosi il processo? I profitti da 100 sono andati a 110, i salari sono rimasti a 100. Poi i profitti sono andati a 150, i salari sono andati a 105; i profitti sono andati a 200, i salari sono andati a 107; i profitti sono andati a 300, i salari rimangono a 107-8-9. Quindi si sono aperte due curve: i profitti si alzano sempre più e i salari stentano a salire, rimangono sempre in basso. Le conseguenze, allora, di questi colpi ricevuti dalla CGIL ad opera del grande capitalismo, delle scissioni, delle divisioni dei lavoratori quali sono state? Ecco: le due curve, la curva dei profitti che aumenta sempre di più, e la curva dei salari che rimane sempre in basso. 

La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società, l’interesse dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici. So che una campagna come quella per il tesseramento sindacale richiede dei sacrifici, so anche che dà, certe volte, delusioni amare. Ci sono ancora lavoratori che non hanno compreso, ma non bisogna scoraggiarsi. Pensate sempre che la nostra causa è la causa del progresso generale, della civiltà della giustizia fra gli uomini.

Lavorate sodo, dunque, e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo.

Lavorate con tenacia, con pazienza: come il piccolo rivolo contribuisce a ingrossare il grande fiume, a renderlo travolgente, così anche ogni piccolo contributo di ogni militante confluisce nel maestoso fiume della nostra storia, serve a rafforzare la grande famiglia dei lavoratori italiani, la nostra CGIL, strumento della nostra forza, garanzia del nostro avvenire.

Quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, ognuno può dire alla propria donna, ai propri figliuoli, affermare di fronte alla società, di avere compiuto il proprio dovere. Buon lavoro, compagni.”

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