Dio è morto, Marx pure, e anche la Democrazia non si sente molto bene.
Dalla Catalogna alle elezioni tedesche e a quelle austriache, passando per gli orrendi fatti di Guidonia, abbiamo davanti agli occhi la fine non solo della sinistra ma della democrazia per come le abbiamo conosciute fino ad oggi.
In Catalogna, evitando di voler fare un’analisi storica approfondita della struttura sociale e costituzionale spagnola, si può notare facilmente l’incapacità di una democrazia, che seppur giovane possiamo definire matura, di affrontare in maniera attiva un processo che è tutt’altro che inaspettato e nascosto. L’indipendentismo catalano non può essere affrontato come se fosse un’emergenza, una calamità naturale che arriva inattesa e sorprende un intero regime politico. La cosa che deve farci ragionare è proprio l’impreparazione, la scelta di non agire, il pensiero che un regime democratico debba rimanere indifferente ai processi sociali, culturali e politici che si manifestano nel mondo. Purtroppo questa modalità di azione è diventata tipica delle nostre democrazie. Abbiamo scelto di accettare gli eventi, anche quelli economici e sociali, come eventi indipendenti dalle scelte politiche che si prendono, che non hanno nulla a che vedere con la volontà umana e con l’azione delle istituzioni.
Nulla di più falso. Oggi viviamo gli effetti della crisi come una vera e propria calamità, senza che le nostre istituzioni abbiano la voglia di individuare i colpevoli di questo disastro e rimuovere le storture generate dalla crisi stessa. Nulla è cambiato e il dilagare del neoliberismo è stato sostituito con il dilagare delle politiche di austerità e con un antiglobalismo di destra che vede nella riscoperta dei valori nazionali la salvezza per l’umanità.
Le elezioni in Germania ci dicono chiaramente che il voto dei cittadini ha poco a che vedere con i conti economici e con le percentuali della crescita e che in un mondo nel quale i cambiamenti sono immediati e le persone sono interconnesse in maniera continua, i tempi della politica non posso non adeguarsi e le persone non sono disposte ad ascoltare argomentazioni lunghe, complicate e superate. Le scelte razionali non fanno più parte di questa epoca e prima ci abituiamo a questa novità, prima saremo capaci di reagire. Siamo sempre più condizionati nelle nostre scelte e nelle nostre decisioni da fattori emozionali che non possono essere coinvolti dalla freddezza burocratica delle istituzioni europee. Se letti sotto questa lente d’ingrandimento i risultati elettorali tedeschi, che hanno visto entrare in parlamento 94 deputati del nuovo movimento neonazista AfD, Alternative für Deutschland, con la sua leader Alice Weidel che era candidata cancelliere, e quelli austriaci che ci consegnano il giovane trentunenne Sebastian Kurz che di popolare ha solo il partito e che si diverte a parlare di carroarmati da schierare ai confini con l’Italia, assumono un senso.
Sotto questo sguardo assumono un senso i fatti gravissimi di Guidonia che i nostri media e la nostra politica, intenta in un suicidio assistito, non hanno voluto affrontare. Una famiglia italiana con moglie di origine eritrea avrebbe dovuto occupare un appartamento che le spettava di diritto in quanto assegnataria secondo graduatoria. In quell’appartamento, abusivamente e quindi contro legge, abitava una donna anch’essa italiana, sgomberata per far entrare la nuova famiglia. Si è scatenata una vera e propria rivolta guidata dai neofascisti di Casa Pound e Forza Nuova, al grido di prima gli italiani.
La famiglia che avrebbe dovuto prendere possesso della casa che le spettava di diritto, pur se scortata dalla polizia, non è potuta entrare per le urla e la violenza delle persone che continuavano ad inveire contro gli immigrati e che continuava a ripetere come zombie frasi del tipo: “prima gli italiani”, “mandano in mezzo la strada un’italiana per dare la casa a questi extracomunitari”, “se pure entrano li cacciamo noi a calci”, “non vogliamo altra sporcizia qui. Li mandassero da un’altra parte”.
Naturalmente nessuno si rendeva conto che la famiglia in transito in quella casa non solo ne aveva tutto il diritto ma era una famiglia italiana con marito bianco latte e accento più che laziale. Sulla rabbia di quegli ultimi che a Guidonia, come in Austria o in Germania, si sentono lasciati indietro da una divisione del lavoro e della società che ormai vede una fetta sempre maggiore della società marginalizzata, fa presa chi professa soluzioni semplici, chi dipinge un nemico ancora più debole, chi preferisce una guerra tra poveri.
Naturalmente la sinistra rimane estranea a questo conflitto sociale che attraversa l’intera società globale, reagendo in due modi, entrambi tanto inutili quanto perdenti.
C’è una sinistra da salotti, da giacca di velluto e libri grossi e pesanti. La stessa sinistra che continua a sognare maree di bandiere rosse, che lotta per i diritti umani senza però essere capace di mettere mano a quei diritti e capire cosa davvero oggi serve, senza essere capace di parlare e ascoltare davvero quel mondo di diseredati e di deboli che a parole vorrebbe rappresentare. A quella sinistra da rivoluzionari che poi finisce nel veganesimo o nel relativismo culturale spinto, non resta che rappresentare nient’altro che un modo vintage di vivere, nella rincorse di mode ormai rimaste negli anni sessanta, senza però avere oggi la stessa carica dirompente e rivoluzionaria di allora. Al ruolo di avanguardia politica, artistica, culturale e intellettuale questa sinistra ha preferito il ruolo di retroguardia in una sfida inutile a chi è meno global, rinchiudendosi in un recinto tanto deprimente quanto esclusivo.
Poi abbiamo un’altra sinistra, quella riformista, socialdemocratica, progressista. Quella che sembra aver perso la bussola e che rischia di annegare in alto mare. Negli anni novanta ci fu una parte della sinistra mondiale che si innamorò della nuova forma che il capitalismo stava assumendo. In molti rimasero affascinati della potenza delle liberalizzazioni del mercato del mondo che diventava a colori e gli dava la possibilità di chiudere con una storia fumosa e con un sogno che non si sarebbe mai realizzato. Fu in quell’epoca che la sinistra perse la sua capacità rivoluzionaria, la sua visione avanguardista, la sua tipica essenza di riuscire a disegnare un sogno. In troppi si schiacciarono su dinamiche e idee di accettazione della realtà come immutabile, partecipando attivamente alla creazione di un sistema di sfruttamento globale, chiudendo gli occhi davanti alle ingiustizie e tappandosi le orecchie per non ascoltare il malessere di una parte sempre più grande della società mondiale che si avviava verso un futuro di povertà e sfruttamento.
Fu allora che si creò quella frattura che oggi sembra insanabile tra sinistra e capacità di immaginare un futuro possibile. Fu allora che la parte che da sempre era stata il motore delle trasformazioni sociali decise di diventare accondiscendete con la realtà, con lo sfruttamento, con il capitalismo, abbandonando il campo cruciale del conflitto sociale.
Oggi ci troviamo nella situazione, sempre più preoccupante, che ci vede soccombere davanti al trionfo delle destre xenofobe che basano la loro creazione del consenso sull’individuazione di nemici fragili e inconsistenti e che sfrutta le paure e la rabbia di chi è rimasto per troppi decenni escluso dal fiammante, ricco e luccicante mondo neoliberista.
Da Trump ai neofascisti di Guidonia, passando per i neonazisti tedeschi, il mondo sta svoltando a destra in maniera irreparabile e la sinistra scompare ovunque esiste il voto libero, dimostrando un’incapacità di fondo di creare una narrazione capace di parlare alle masse popolari spaventate, stanche e sempre più povere. Il dado è tratto e mentre in Italia Renzi prova goffamente a far ripartire il Pd con un treno che sembra essere così vintage e così vuoto e la sinistra è ancora in cerca di un leader da trovare tra i soliti volti ormai già bruciati da anni, la democrazia muore a Guidonia come in ogni periferia, muore nei barconi che affondano nel mediterraneo, muore nei centri di permanenza temporanei, nell’incapacità di governare un processo epocale come quello migratorio, muore nelle regole di un mercato del lavoro che vede i più deboli sempre più deboli e i forti sempre più forti, muore nel linguaggio burocratico e tecnocratico di un’Unione Europea che ha perso ogni valore politico, muore nella libertà di circolazione dei capitali e nella costruzione di muri che bloccano le persone. La democrazia muore nel silenzio assordante dell’indifferenza umana. La democrazia muore e non c’è nessuno pronto a difenderla.