LA GENERAZIONE SCOMPARSA

Una generazione, un gruppo enorme di persone, di giovani menti, di vite, di storie e di racconti, scompare giorno dopo giorno. Non è la descrizione di un olocausto, di una guerra mondiale; non è l’inizio di un romanzo fantascientifico sulla fine del mondo, purtroppo questa è la reale situazione che oggi vive la nostra società.

Nonostante il dibattito culturale e politico sia orientato a ben altre problematiche, che vanno dalla guerra del presepe alla difesa dei valori della nostra italica patria esplicata attraverso le canzoncine natalizie, in Italia, oggi un’itera fascia della popolazione, quella più giovane, si ritrova a vivere un calvario che sembra non aver fine. L’aumento continuo della disoccupazione giovanile, la mancanza di un mercato del lavoro che possa garantire ai giovani la partecipazione alla vita civile del Paese, la totale precarizzazione dell’esistenza stessa di molti ragazzi e ragazze, è una situazione alla quale sembra non esistere soluzione, è un qualcosa che va ben oltre la crisi economica, questa tragica condizione umana alla quale ci stiamo abituando ha radici più profonde e più lontane.

Questa realtà moderna affonda infatti le sue origini in quel ritorno al passato che per anni ci hanno disegnato come l’avanzata della modernità, come un processo naturale dell’evoluzione della convivenza civile tra gli esseri umani.

Un’intera generazione è stata costretta a confrontarsi con un mondo nel quale lo scontro tra capitale e lavoro si è concluso con la vittoria totale del capitale e questa realtà ha generato un mercato del lavoro che è tornato agli equilibri ottocenteschi, con l’accettazione del lavoro gratuito, con la cancellazione di diritti che negli anni, attraverso un processo di lotte e di confronto continuo tra i vari attori, erano stati garantiti.

Un ragazzo di oggi è abituato a lavorare senza essere pagato, è abituato a firmare lettere di dimissioni prima di essere assunto, è abituato al ricatto sottile di un contratto breve e rinnovabile di volta in volta, è abituato a non vedere riconosciute le sue potenzialità e le sue fatiche, è abituato a fare lavori che con la sua preparazione nulla hanno a che fare, è abituato ad essere per sempre uno stagista, è abituato a fare concorsi che si rivelano sempre inutili e già chiusi, è abituato a non potersi permettere una gravidanza, a non potersi permettere alcun pensiero e progetto sul futuro.

Tutto questo avviene nel silenzio più totale, nell’indifferenza più triste, nella debolezza più forte di una politica che sembra concentrata su problemi così lontani dalla realtà attuale da diventate sconcertante nelle promesse di miglioramenti e nelle elargizioni di bonus.

Tutto questo è stato permesso con la comoda ed ingiustificabile apatia dei sindacati, che tutto hanno accettato che avvenisse alle nuove generazioni, pur di difendere e garantire coloro che già erano parte del mondo del lavoro. I sindacati in questi anni sono stati colpevoli di non aver avuto la sensibilità di leggere la realtà che gli nasceva intorno, non c’è stata, nei dirigenti sindacali, la voglia, la passione ed il coraggio di iniziare una lotta che avrebbe potuto parlare a coloro che quel mondo di regole, di diritti e di dignità dei lavoratori lo hanno solo sognato.

L’articolo 18 per un’intera generazione è solo un qualcosa che rientra in una mitologia estranea alla realtà in cui si vive oggi. Per anni intere flotte di giovani laureati, specializzati, con master di importati università anche internazionali, hanno dovuto fare i conti con lavori degradanti, con paghe inesistenti e con contratti che ledono la dignità stessa del lavoro e del lavoratore. Erano questi i soggetti che i sindacati e tutti i partiti che volevano schierarsi con gli ultimi, avrebbero dovuto ascoltare e rappresentare, è questa parte sempre più depressa della società moderna che rappresenta la vera vittima del sistema attuale della divisione del mercato del lavoro globale.

I lavoratori dei call center, i ricercatori a contratto, i lavoratori autonomi, le finte partita iva, i lavoratori della GDO, i lavoratori di tutti quei mercati che stagionali non sono me che utilizzano contratti stagionali, i lavoratori della cultura, del terzo settore, i precari della scuola e della pubblica amministrazione, i ragazzi che quotidianamente lavorano gomito a gomito con altri lavoratori dei quali condividono le fatiche, le mansioni, le responsabilità, ma non lo stipendio ed i diritti. Tutti coloro che nel mondo del lavoro neanche sono riusciti ad entrarci e che devono ogni mattina inventarsi qualcosa per trovare il loro posto all’interno di una società che li ha liquidati. Questa marea di persone non  ha rappresentanza, non ha voce e non ha mezzi per esprimere la propria rabbia ed il dolore di una condizione che li costringe in un limbo di inattività forzata.

Si parla negli ultimi giorni delle pensioni di questa generazione, di pensioni che non arriveranno mai, di un ciclo di vita e di lavoro che è soggetto ad una tale precarietà da rendere impossibile la copertura e la garanzia di godere del diritto ad una pensione che possa soddisfare anche solo i bisogni primari dell’essere umano.

L’Italia non può tornare a crescere se questa parte del Paese non viene reinserita nello spazio che gli spetta, il nostro paese resterà bloccato ancora decenni nella palude in cui vive se questa realtà enorme della società, quella che dovrebbe essere il propulsore che spinge l’intero sistema nazionale nel futuro, non si riprende la dignità di cui deve godere.

La frattura generazionale è sotto gli occhi di tutti, nessuno però sembra reagire, né coloro che da quella frattura rischiano di essere inghiottiti, rimanendo per sempre scomparsi, né coloro che quella frattura l’hanno aperta e che oggi vedono i loro figli sospesi sul baratro.

 

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