La sinistra lontana dai conflitti sociali scompare.
Sono i giorni del buonismo, del perbenismo da salotto, del pietismo da prima serata, dell’indignazione di massa.
Sono i giorni dei santi, dei guerrieri, degli incendiari che dovranno giustificare il loro essersi trasformati in pompieri e dei trogloditi che diventati ministri vogliono ancora guidare le ruspe.
Non preoccupatevi durerà poco, giusto il tempo delle tendenze social e poi torneremo alla nostra razzista e cieca quotidianità. Il silenzio tonerà a regnare su quei luoghi della sofferenza che sono stati tenuti nascosti agli stessi occhi che oggi si indagano. Torneremo a non puntare le telecamere su San Ferdinando e sulle tante baraccopoli disseminate nel nostro sud, dalla capitanata pugliese alla piana di Gioia Tauro, dalla piana del Sele agli agrumeti di Rosarno. Quelle sofferenze scompariranno dai nostri touch screen e torneremo a poter essere i soliti razzisti con la bava alla bocca. Torneremo ad essere italiani, a urlare indisturbati “Aiutiamoli a casa loro”.
Se oggi in Italia abbiamo il governo più a destra della storia repubblicana è perché la sinistra non è stata più capace di individuare i conflitti che attraversano la modernità, non si è concentrata ad identificarli, studiarli e affrontarli.
Dal 4 marzo in poi, da una sconfitta che ha avuto le dimensioni epocali per tutta la sinistra e non solo per il Partito Democratico, abbiamo ascoltato un’analisi insopportabile, che colpevolizza gli elettori. Dai popcorn da gustare davanti alle destre al potere al come hanno fatto gli italiani a votare i barbari, per arrivare ai commenti sulla preparazione, sui congiuntivi e sulle lauree dei vari leader. Nessuna critica alla propria azione. Ha sbagliato il popolo, questi stolti e ignoranti italiani.
Quando il segretario generale dell’Unione Scrittori della Ddr (la Repubblica Democratica Tedesca, quando la Germania era ancora divisa in due) commentò la rivolta degli operai di Berlino Est nel 1953 affermando che “La classe operaia di Berlino ha tradito la fiducia che il Partito glia aveva riposto: ora dovrà lavorare duro per riguadagnarsela“, Bertold Brecht con la sua geniale ironia scrisse: “Il Comitato Centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”
Quella stessa ironia servirebbe oggi, davanti alla reazione di chi ha lasciato campo libero ai populismi e alle destre, di chi, davanti ai conflitti, si è limitato al mutismo, al buonismo o all’indifferenza.
Davanti all’imponente flusso migratorio che stiamo vivendo in questi anni, la sinistra ha deciso di chiudere gli occhi. In quelle baraccopoli, infatti, non entra mentre entra la destra con i proclami e gli anatemi contro i nemici che vengono a rubare il lavoro. In quel conflitto che vive e che cresce nelle nostre periferie, dove i più fragili sono pronti a scatenarsi contro chi con loro condivide la fragilità, le destre entrano, dando soluzioni immediate e risposte facili, trovando un nemico, addossando a questo il problema generale, chiamando alla battaglia contro il cattivo, incontrando il sentimento di chi non riesce più ad avere speranza e proiezione da altri e si affida alle urla scomposte.
Davanti ad una globalizzazione che ha reso globali solo le sofferenze, le ineguaglianze e le povertà, le destre si contrappongono, con metodi violenti ed inaccettabili ma dimostrando di esistere, facendo sentire la propria voce.
La sinistra latita, una parte si è appiattita negli anni sui dettami neoliberisti senza fiatare e godendo del favore dei grandi gruppi capitalistici, mentre un’altra parte si è rifugiata nella malinconia del passato dimenticandosi di quanto la sinistra debba essere avanguardia, propensione verso il futuro, verso un sogno che non può mai essere il ritorno al passato.
In questi decenni la politica ha abbandonato i luoghi reali, ha lasciato le piazze, ha chiuso le sezioni, si è rinchiusa in una visione tutta di palazzo, fatta di analisi di mercato, di calcoli economici che provano a nascondere le scelte politiche con un finto scientismo che giustifica le scelte.
Oggi se davvero c’è da arginare i populismi, le destre e gli xenofobi in tutto il mondo non lo si può fare guardando indietro, non lo si può fare rinchiudendosi in schemi e paradigmi vecchi, non lo si può fare limitandosi al controcanto. Non serve a nulla sottolineare l’ignoranza dei leader di questi movimenti, non serverà a nulla smascherare la loro incapacità, non servirà a nulla ripetere “questi sono peggio di noi”.
C’è un bisogno impellente di tornare nei luoghi del conflitto, di infilare mani e piedi nelle sofferenze, di schierarsi da una parte o dall’altra, di dare risposte a chi oggi è in difficoltà. Servono idee e paradigmi nuovi, serve una visione ampia capace di riportare la sinistra nei luoghi dai quali si è esiliata.
Torniamo a San Ferdinando, torniamo nei campi tra i braccianti sfruttati, torniamo nelle periferie, torniamo nelle fabbriche, nei nuovi luoghi del lavoro, nei nuovi conflitti, al fianco dei precari, dei riders, dei nuovi schiavi della sharing economy, dei giovani soli e non rappresentati. Torniamo nei conflitti, con soluzioni concrete e con un sogno che possa far ritornare la passione, per riscoprire il valore di stare insieme in una fase storica in cui sembra invece dominare chi vuole contrapporre, chi ha bisogno di un nemico da sventolare, da colpire, da incolpare.
A chi vuole separare e dividere dobbiamo contrapporre la capacità e la bellezza di stare insieme, a chi vuole costruire muri e fili spinati dobbiamo contrapporre la capacità di accogliere e convivere, a chi vuole chiudersi nel proprio mondo, dobbiamo contrapporre la capacità di innovare. Alle destre reazionarie e conservatrici dobbiamo contrapporre la Sinistra, quella vera, quella capace di scrivere un sogno e costruire la strada per raggiungerlo.