Il mondo non lo cambierà Macron
Ok ha vinto Macron. Feste e momenti di giubilo. Tutti a dire che il futuro è arrivato, che l’Europa è viva e vegeta, che la civiltà moderna può continuare sulla stessa strada, che l’umanità si è salvata dall’estinzione. Ad oggi stanno nascendo piccoli e grandi Macron in giro per il mondo e anche in Italia ci siamo buttati nella folle corsa all’imatizione dell’originale.
Abbiamo ascoltato tutti, da destra, da sinistra e dal centro, soprattutto dal centro, elogiare questo leader nuovo, senza partito che vuole solo la bandiera francese quella dell’Unione Europea ai comizi e che sembra aver distrutto il passato politico francese che puzzava di vecchio e di putrefatto ormai da decenni.
Gli stessi che gridavano allo scandalo davanti al patto del Nazareno, davanti all’idea del PD partito della nazione, di un leader che ad appena 38 anni approdava a palazzo Chigi. Gli stessi che con sdegno hanno visto nella riforma del lavoro che cancellava l’articolo 18, che affrontava per la prima volta in maniera sbagliata o giusta, a seconda delle convinzioni, il tema delle diseguaglianze generazionali tra chi non ha alcuna garanzia e chi ha trasformato i diritti sacrosanti dei lavoratori in privilegi insopportabili. Gli stessi che hanno visto come una violenza fascista il tentativo di rendere il parlamento italiano monocamenrale. Gli stessi che hanno pontificato contro la governabilità in ragione della rappresentanza di tutte le anime del Paese, identificando nell’Italicum e nel doppio turno, il male assolutistico ed autoritario di un governo “non eletto dal popolo”.
Tutti questi onorevoli commentatori, onorati politici e finti compagni, hanno visto nella vittoria di Macron una salvezza.
La sinistra storica, quella nostalgica, quella che in continuazione sfregia una storia di progresso intellettuale, politico e culturale di un intero secolo, riducendola ad una riserva per figli di papà tanto ribelli quanto garantiti, ha potuto festeggiare la sconfitta di un Front National che ha tutte le caratteristiche del vecchio Partito Fascista con la differenza che ha come capo una donna abituata alle sconfitte.
La “Finta Sinistra” alla D’Alema, quella che viene da una storia importate e gloriosa e che, con impegno e decisione, ha distrutto e vanificato quella forza, oggi sembra abbagliata dall’astro nascente francese, nonostante si richiami ad altre storie e ad altri riferimenti.
I razzisti in camicia verde, gli antisitemici per professione, i complottisti nevrotici, quelli che la pancia la lasciano sfogare sempre producendo aberrazioni e violenze volgari, sono tutti pronti a giurare, senza neanche aver paura di sentirsi ridicoli, che è stata la massoneria, i poteri forti, i cattivi del mondo intero che non potevano sopportare la Le Pen e la sua agile e moderna idea di società.
Tutti coloro che hanno pianto per Obama, che si solo lasciati affascinare dai leader giovani con le maniche di camicia risvoltate, capaci di comunicare come divi del cinema, capaci di scrivere interi programmi elettorali in 140 caratteri, tanto concentrati nel dimostrare di saper comunicare da aver dimenticato cosa comunicare e a chi comunicare. Quelli sempre pronti a dire che le cose devono essere cambiate e che il vecchio deve essere, se non distrutto, almeno accantonato, oggi se la ridono e festeggiano di cuore.
Nessuno sembra però voler davvero guardare in faccia la realtà della situazione attuale. Tutti fanno finta di non leggere il segnale chiaro che arriva dalle elezioni francesi. A nessun sembra far comodo interpretare il vero valore intrinseco della vittoria di un giovane che, nonostante non abbia niente di moderno, non rappresenti un uomo che si sia fatto da solo, venga da quella burocrazia e da quel mondo di faccendieri e di tecnici che tanto è odiato, sia riuscito a risultare molto più nuovo, molto più convincente, più fresco e più credibile di candidati che forse avevano lavorato a programmi più intensi e più profondi.
Macron ha vinto per mancanza totale di avversari, come ha vinto Trump. Ha vinto per mancanza di un’idea diversa di società di economia e di mondo. Ha vinto perché rispetto all’inconsistenza di un socialismo che non ha mai avuto la capacità di avere una visione nuova della società e dei conflitti che l’attraversano, rispetto ad un conservatorismo che è il primo colpevole della crisi economica del 2008 e davanti al neofascismo xenofobo, razzista e di solo odio, risultava il pià credibile.
Ora però da qui a vivere quella di Macron come l’affermarsi di una nuova via per la società globale ci passa un oceano. Macron e le sue ricette non sono rivoluzionarie, come non lo è il suo personaggio, la Francia non è il mondo e non si può certo continuare a vivere lo sviluppo e la globalizzazione come è stato fatto negli ultimi decenni. Davanti ad un aumento globale delle diseguaglianze, davanti a flussi migratori di portata storica che stanno cambiando l’assetto sociale, culturale e gegrafico del nostro pianeta, davanti alla caduta di un sistema economico globale che non regge più, la risposta non può essere quella del piccolo palliativo.
Ci vorrebbe il coraggio di ripensare l’intero sistema mondiale, ci vorrebbe la forza culturale di mettere in campo una visione che possa rendere il mondo sempre meno ingiusto, ci vorrebbe una forza politica tale da avere il coraggio di affermare che il sistema neoliberista ed i suoi prodotti istituzionali ed economici sono scaduti. Macron sembra invece essere strumentale a conservare intatte le basi del sistema di sviluppo sul quale abbiamo costruito la società odierna. Sicuramente è risultato il più credibile anche come progetto politico rispetto a quello di un Partito Socialista che non ha più alcun contatto con la società che dovrebbe rappresentare; rispetto ad una Sinistra alla Mélenchon che nulla ha di comunista e nulla ha di moderno e coraggioso; rispetto ai Repubblicani che non solo erano azzoppati dagli scandali di Fillon, ma venivano dal ricordo, tutt’altro che entusiasmante, di Sarkozy, lo stesso che parlava della Banlieue come spazzatura.
Dalla Francia, da quella nazione che in questi anni ha vissuto l’orrore di una guerra tanto viscida quanto inarrestabile, che prima di tutte le altre nazioni aveva iniziato a vivere il peso del fallimento delle politiche neolibesiste, cadute sotto le fiamme delle Banlieue, che è stata la prima ad aver confuso le questioni sociali con quelle culturali o “etniche”, che ha visto per prima l’espandersi dell’estremismo islamico in salasa occidentale che ad oggi rappresenta ancora l’unica forma di inclusione comunitaria per tutti quei giovano che sono esclusi dalla società francese. Da questa Francia che ha avuto il coraggio di non cedere alle paure e alle inquietudini e di scegliere in maniera convinta una strada che ridà dignità e civiltà ad un intero popolo, arriva un unico messaggio chiaro e forte che andrebbe letto in fretta con realismo e con capacità: il mondo deve cambiare e la società non ha alcuna voglia di ripercorre strade già vissute e già bocciate, da quelle fasciste a quelle comuniste, da quelle socialdemocratiche a quelle neoliberiste.