Non vi è Demcorazia con questa Giustizia
A cosa abbiamo ridotto il nostro sistema democratico? A cosa abbiamo portato l’idea stessa di società e di giustizia? Per cosa abbiamo utilizzato l’enorme potenzialità della rete e del web? Come abbiamo confuso la gogna pubblica e la volgarità per libertà di stampa?
Un sistema democratico funziona se a funzionare sono i suoi poteri, se ognuno di questi poteri non interferisce sugli altri e se le sfere di interesse e di azione di questi restano ben separate e demarcate da una linea, tutt’altro che sottile, di confine.
Purtroppo nel nostro sistema democratico italiano vi è sempre stato un cortocircuito istituzionale perché è sempre mancata anche la più minima indipendenza tra i diversi poteri dello Stato. Proprio come non abbiamo mai avuto una stampa e un’informazione veramente libera ed indipendente così non abbiamo mai avuto una magistratura al di sopra delle parti e una politica forte capace di emanciparsi dalla rincorsa del senso comune.
La magistratura, nel nostro Paese, ha rappresentato uno dei poteri più organici al regime fascista e, grazie all’amnistia Tiogliatti, è sopravvissuta quasi intatta alla caduta del fascismo e poi alla caduta della prima Repubblica. La magistratura ha partecipato, in prima fila e con impegno, a quella pagina buia della storia italiana che ha preso il nome di strategia della tensione, è stata protagonista dei misteri mai risolti del nostro Paese, attraverso depistaggi, indagini posticce e processi che hanno rovinato la vita di cittadini innocenti.
Per decenni la magistratura è intervenuta sugli aspetti politici del Paese, spesso anche per colpa di una politica debole ed incapace di agire in tempi e modi congrui alla velocità della modernità. La debolezza palesata dalla politica ha aperto praterie carrieristiche ad una serie di magistrati che le hanno sfruttate acquisendo ruolo politici, candidandosi, diventatndo tribuni della plebe, moralizzatori e addirittura eroi di una sinistra che, incapace di pensare e di produrre un’alternitava seria e concreta, ha sposato le cause più giustizialite e demagogiche trasformando uomini di chiaro stampo fascista, figure reazionarie e illiberali, in icone della sinistra rivoluzionaria.
È inutile dover fare i distinguo tra i magistrati. Si, i magistrati eroi esistono davvero, sono quelli che in maniera sistematica e mettendo a repentaglio la loro vita, combattono la criminalità organizzata, sono tutti quelli uccisi barbaramente da Borsellino a Falcone, passando per Livatino. Appunto per questo, per onorare la loro memoria, per dare valore alla loro azione, per non disperdere il loro sacrificio ed il loro insegnamento, andrebbero evitate determinate distorsioni. Andrebbe garantita una separazione netta tra magistratura e carriera politica.
Non è più accettabile che chi il giorno prima era magistrato, il giorno dopo, o addirittura il giorno stesso, si candidi a cariche politiche, infilandosi mani e piedi in un conflitto d’interessi così palese e così insopportabile che farebbe incespicare tutti i sistemi democratici del mondo.
Ad una separazione tra il mondo politico e quello della magistratura, andrebbe affiancata una netta separazione tra la magistratura ed il mondo dell’informazione.
In una realtà informativa nella quale si riesce a raggiungere un numero sempre maggiore di persone in un tempo sempre minore, diventa facilissimo creare scandali e smuovere le pulsioni più bestiali e primitive della società. Un gioco da ragazzi che distrugge carriere, regimi politici e vite. Questa folle alleanza tra magistratura e informazione ha reso l’Italia un Paese debole, nel quale un onesto cittadino può essere trasformato in mostro, pedofilo, assassino, corrotto o corruttore, mafioso, camorrsita, ndranghetista, senza alcuna garanzia di essere riabilitato, senza alcuna possibilità di essere valutato innocente. Si diventa colpevoli sulle prime pagine dei giornali, nei servizi della TV di “approfondimento”, si è messi alla gogna pubblica sui social network, così si macchia per sempre la vita di un essere umano.
Tutto avviene con la massima semplicità, con la certezza che nessuno paghi, con la convinzione che nessuno si assumi la responsabilità degli errori fatti, quando si tratta di errori e non di precisi progetti di abbattimento personale. In un Paese nel quale il capo del CSM dice in maniera naturale e convinta che tutti gli indagati sono colpevoli e che se qualcuno viene assolto è solo perché non si è indagato bene, la democrazia rischia di morire.
Un sistema democratico serio mette il cittadini, la sua dignità, le sue libertà e la sua vita al centro. Il circo mediatico-giudiziario, al quale purtroppo ci siamo abituati, fatto intercettazioni private pubblicate e sparse in giro su tutti i canali, fatto di titoli tanto sensazionalistici quanto finti, fatto di carcere preventivo, di condanne preventive, di gogna pubblica di dimenticate rettifiche e impossibili riabilitazioni, ha reso il cittadino schiavo, tolto dignità al sistema democratico e rischia di ditruggere tante vite.
Se ne parla in questi giorni perché la gogna ha provato a schiacciare un personaggio pubblico di primo piano, ma è una guerra quotidiana che miete vittime non illustri che non hanno la capacità e la forza di farsi ascoltare dal mondo. Vittime con facce meno rassicuranti, vittime con passati molto meno tranquilli della famiglia Renzi, vittime che non hanno alcun mezzo per difendersi e che troppo spesso nessuno difende.
Davanti a questa deriva bisogna intervenire con forza e con decisione, ma non per Matteo Renzi, né per Tiziano Renzi e né tantomeno per nonna Renzi, intervista con toni da “notte della Repubblica” dal peggior Corriere della Sera e finita additruttura in prima pagina, ma per garantire ai cittadini, soprattutto a quelli più deboli, una giustizia vera e garantista.
Non vi è democrazia senza garantismo. Non vi è democrazia che accetti i processi sommari. Non vi è democrazia senza una stampa libera soprattutto dalle procure. Non vi è democrazia che non garantisca la libertà e la dignità dei cittadini. Non vi è democrazia oggi in Italia dove chiunque può trovarsi in un tritacarne senza neanche essere a conoscenza dei fatti.