Tempi strani
Sono tempi strani i nostri, caratterizzati dall’abuso della parola, un abuso indiscriminato, superficiale e pericoloso che ha creato vuoti enormi nei quali rischia di scomparire ogni tipo di verità e di fatto, un vuoto nel quale si allargano e si rafforzano tutti coloro che, lucrando sulla falsità e sull’inganno puntano al controllo e al potere.
Da una crisi economica strutturale che si è palesata nel 2008, nessuno è voluto realmente uscire, tutti si sono tenuti ben lontano dalla proposta di soluzioni reali, concrete. Davanti ad un tracollo epocale di un sistema che avrebbe dovuto mettere sotto gli occhi di tutti il fallimento di un capitalismo che, senza alcuna regola e senza alcun legame con la vita reale degli esseri umani, è diventato negli anni sempre più feroce, nessuno ha avuto il coraggio e la voglia di dare una nuova visione, un nuovo sogno, un nuovo conflitto da risolvere attraverso un nuovo compromesso tra capitale e lavoro che avrebbe ridato dignità e forza al lavoro, ristabilendo il predominio ai bisogni degli esseri umani sull’accumulazione di capitale.
Davanti al fallimento la sinistra o si è rintanata nella nostalgia di ideali ormai falliti o, peggio ancora, ha accettato in maniera supina le teorie mainstream della dottrina economica neoliberista, vedendo la salvezza nella deriva di un capitalismo senza regole, nel quale l’essere umano svolge un ruolo sociale sempre più marginale, schiacciato dai dati e dalle statistiche che raccontano un mondo sempre più ricco e sempre più felice.
È mancata la capacità politica, culturale e innovativa di dare finalmente una visione nuova, ristabilendo la forza di un sogno. Un sogno che deve ripartire dalla costruzione di un sistema sociale più equo, nel quale non tutto può essere misurato secondo indici e numeri, nel quale la precarietà non può essere l’unico valore sul quale costruire i rapporti umani, nel quale ogni individuo può godere delle stesse opportunità e degli stessi diritti.
Davanti alle paure che corrono potenti nella società contemporanea la sinistra resta immobile e muta, incapace di dare soluzioni e risposte. A dare risposte immediate che riescono a soddisfare i bisogni di oggi, sono personaggi che cavalcano il momento, da Trump alla May, da Le Pen a Salvini, da de Magistris a Emiliano.
Alle paure e alla rabbia si trova un colpevole che può essere il profugo, l’Islam, il messicano, il cinese o i poteri forti. Tutti in cerca di un nemico, tutti pronti a scaricare le responsabilità su altri, tutti pronti a seguire la rabbia e la disperazione, nessuno purtroppo ha le capacità o forse la voglia di curare quella rabbia, di dare un sogno di speranza e di futuro a tutti coloro che oggi si sentono spaventai ed esclusi. Le paure andrebbero trasformate in speranze e la rabbia in azione, in partecipazione. La politica andrebbe riportata sul piano del cambiamento dell’attuale sistema sociale, economico e politico.
Fin quando ci si nasconderà dietro muri di idiozie urlate, fin quando si farà a gara ad inseguire una piazza, una protesta, un disagio per sfruttarne la forza e la potenza per meri scopi di consenso, non ci sarà futuro perché, quando ognuno si sarà barricato nella sua stanza e non sarà rimasto nessuno verso il quale proiettare la propria rabbia e le proprie frustrazioni, non ci sarà più nessun nemico e nessuna soluzione.
Non saranno i nostalgici incontri con le bandiere rosse ed i vecchi inni a risollevare le sorti del nostro pianeta. Non saranno le manifestazioni contro un governo, contro una riforma o contro un politico ad aprire un dibattito epocale attraverso il quale ristabilire i termini e gli equilibri di un nuovo sistema politico e sociale.
Il tempo è scaduto e l’avanzata dei movimenti xenofobi, fascisti e razzisti in tutto il mondo è un dato con il quale già bisogna fare i conti. Arginarlo non può essere la soluzione.
Bisogna batterlo, ed è possibile farlo solo togliendogli il terreno delle risposte, ricominciando a parlare e convincere gli ultimi per mostrargli che possono diventare primi. Questa è la sfida che oggi deve essere affrontata, una sfida che però avrebbe bisogno di una classe dirigente su scale globale capace, con basi forti e con lo sguardo proiettato al futuro. Purtroppo di classe dirigente in giro per il mondo non se ne vede molta.