“Whatever it takes” si salvi l’Italia peggiore
Con Mario Draghi al governo del Paese arriva l’Italia peggiore, quella che non passa, che ritorna, quella degli errori mai riparati, delle scuse mai chieste. L’Italia delle scelte superficiali che sono costate a intere generazioni la possibilità di realizzarsi, di sperare, di competere con il resto d’Europa.
L’equilibrismo, in uno scenario parlamentare tanto squallido, è una delle qualità più utili alla sopravvivenza in quella giungla politica fatta di partiti inesistenti, di trasformismi e mancanza di coerenza. E Mario Draghi, il funambolico uomo della salvezza, per il quale molti si sono trasformati in confortevoli scendiletto, non è uno sprovveduto, non è un tecnico, non è uno che ha passato il tempo a studiare e ad analizzare. Draghi è un politico scaltro, un uomo che ha fatto del “Whatever it takes” (a tutti i costi) non solo un metodo per salvare l’Euro ma anche un dogma politico, un’ideologia per governare il Paese.
E allora costi quel che costi, l’Italia deve avere un governo spurio, sorretto da una maggioranza che non possiamo nemmeno definire e che annacqua il panorama politico nazionale, con un governo che è la degna continuazione di quella cancellazione di ogni rappresentanza ai margini della società, quei margini dove oggi ci sono i giovani ai quali manca rappresentanza e ascolto, dove ci sono quelle intere generazioni precarizzate dalle politiche di Draghi e di chi oggi governa con Draghi.
Costi anche un Brunetta che torna al ministero che aveva lasciato nel 2011, una Gelmini che rientra dopo essere stata una delle ministre più contestate del governo Berlusconi. Costi un Di Maio che resta agli Esteri anche senza avere la minima competenza, costi un Franceschini che sembra diventato parte integrante del ministero che presiede ormai da sempre. Costi un Colao uscito quest’estate dalla finestra e rientrato dal portone, un Orlando al Lavoro, lui che di lavoro non ha mai neanche sentito parlare, un Guerini sempre lì, lì nel mezzo a difendere. Costi anche anche la Lega che diventa improvvisamente europeista, con un Giorgetti che ha fatto scendere Salvini dalla ruspa per farlo salire sulla comoda e lussuosa Bentley di governo di Super Mario. Costi anche un Movimento 5 Stelle che con Patuanelli passa dal Mise all’Agricoltura come se nulla fosse, lasciando aperti centinaia di tavoli di crisi industriali mai affrontati concretamente.
In queste settimane abbiamo voluto credere che non vi fossero trattative con i partiti, che il divino Draghi non si ribassasse a interloquire con chi aveva fallito e non aveva competenze da esprimere. I giochi invece erano nel vivo, le trattative andavano avanti nei bassifondi dove in questo Paese si decidono i destini di tutti senza che nessuno possa metterci bocca.
Una crisi che oggi appare ancora più organizzata a tavolino anche se presentata come un salto nel buio. Ne usciamo con l’ennesimo patto scellerato, l’ennesimo compromesso che però non ha nulla di storico perché da questa politica, da questo governo e da questo parlamento sono tenuti fuori i conflitti di una società che vede invece allargarsi le diseguaglianze, con un ceto medio che scompare perché diventa sempre più marginale. Questo governo salverà l’Italia, certo, ma quella del passato, quella che in questa pandemia avremmo dovuto avere il coraggio di cambiare. Quell’Italia che non passa mai, resta sempre negli stessi luridi bassifondi di un sistema democratico fallito dove ad avere voce e rappresentanza sono sempre e solo gli stessi Draghi di sempre.